Il caso che presento riguarda una consulenza
psicoterapeutica individuale al Centro di Salute Mentale di Anzio.
1. Il primo colloquio con Corrado
Incontro Corrado, per la prima volta, entro la cornice di
un colloquio finalizzato alla somministrazione di un MMPI. Si tratta di un
invio “interno” al Servizio. La psichiatra con cui l’uomo è in rapporto da
circa un anno, mi chiede un ulteriore accertamento diagnostico, nell’ipotesi
condivisa con lo stesso Corrado di certificarne l’inabilità al lavoro. La
cartella clinica che consulto prima del colloquio fa riferimento ad una
depressione maggiore e ad un disturbo paranoide della personalità.
Ci presentiamo e ci orientiamo su
tempi e obiettivi del colloquio. La psichiatra gli ha detto di me,
prospettandogli i motivi dell’incontro odierno.
Gli chiedo che idea si sia fatto
di questa certificazione. A quali problemi pensa che possa rispondere, ad
esempio.
Corrado, barba incolta, tuta da
ginnastica, capelli arruffati e aria stropicciata di chi è passato da un letto
al CSM senza soluzione di continuità (sono le 14.30), inizia a parlare.
Ha smesso di lavorare circa dieci anni fa, appena passati
i quaranta (oggi ne ha 52). Faceva ed in passato ha sempre fatto il
rappresentante di tessuti per tendaggi. Per conto di vari committenti-fornitori
si recava presso esercizi che a loro volta vendevano al pubblico. Gradualmente,
tra enormi difficoltà mi dice, era riuscito ad allacciare rapporti duraturi con
alcuni clienti-negozianti. Ma è sempre vissuto in una condizione di
semi-indigenza, isolato nella quotidianità e pervaso da un senso di crescente
inutilità. Ha quindi stabilito un legame di dipendenza rispetto a quelle esigue
relazioni di lavoro, comunque poco produttive sul piano di un ritorno
economico.
Nel corso degli anni i problemi
sono aumentati. Oggi, aggiunge, nessuno è più disposto ad acquistare tessuti
pregiati. La crisi economica, nella sua esperienza, ha radici ben più lontane
nel tempo. Ha quindi agìto un lungo addio, continuando a pagare le tasse pur
avendo già smesso di lavorare da qualche anno, forse nell’intuizione che la
perdita definitiva di quell’unico appiglio di realtà, seppur ormai dissimulato,
lo avrebbe privato di un’identità, del sentirsi nella categoria o nella classe,
per dirla alla Matte Blanco, degli adulti-lavoratori.
Si ritrova in quel che
ipotizziamo, al che provo ad aprire sui nessi tra quell’interruzione (vecchia
ormai di dieci anni) e l’immobilismo successivo. Nessun desiderio di
ricominciare, di riorganizzarsi, di cambiare lavoro?
Fa resistenza su questo, tende a
liquidare la questione, al che mi viene in mente di approfondire il rapporto
tra l’importanza del suo lavoro in termini di sopravvivenza/sostentamento e la
relativa commistione di piacevolezza/spiacevolezza che mi sembrava gli
attribuisse.
Corrado torna a produrre parole,
stavolta con una maggiore fluidità ed emozioni meno addomesticate. Fino a quel
momento il suo eloquio mi arrivava come qualcosa di meccanico, lento e
cantilenante, seppur stilisticamente colto e ricercato.
No, non gli è mai piaciuto fare quel
lavoro. Un ambiente, a suo dire, traboccante di opportunisti e colleghi senza
scrupoli, pronti a prevaricarti pur mostrandosi amici. Uno troppo buono
come lui si è sempre sentito un pesce fuor d’acqua nei confronti di un contesto
infestato da squali. Oggi la sua vita si trascina stancamente, non si sente più
in grado di reggere l’impegno di un lavoro. La pensione sociale gli
consentirebbe quantomeno di sopravvivere.
Nel disordine di un tempo ormai
privo di stimoli si limita a subire un significativo sfasamento del ritmo
circadiano. Mentre Corrado parla del suo confondere il giorno con la notte, dei
lunghi monologhi interiori nel silenzio circostante della solitudine, mi
vengono alla mente immagini, citazioni, aforismi che intrecciano
simmetricamente il tempo, l’uomo ed il nulla, da Friedrich Nietzsche (Quando
guardi a lungo nell’abisso anche l’abisso finisce per guardarti dentro) al
Nosferatu cinematografico di Herzog [1].