venerdì 27 luglio 2012

Diagnosi vs Relazione: avere "qualcosa" di fronte o "essere con qualcuno"?

Una collega psicologa che lavora al CSM mi cerca per parlarmi di un utente che vorrebbe affidarmi. Si tratta di un giovane diciannovenne, G., che la psicologa descrive come un caso di disturbo dell’identità sessuale. Ne parla in questi termini perché il giovane, dopo un primo colloquio con la collega, chiede di essere seguito da un uomo, adducendo motivazioni piuttosto vaghe. La psicologa aggiunge che G. ha pensieri confusi sull’oggetto della propria scelta sessuale e che si incista in fantasie deliranti a causa del consumo saltuario di sostanze psicoattive che le ha dichiarato.

Con il sottoscritto si fanno ipotesi sulla componente provocatoria con cui sta organizzando la domanda di consultazione, provocazione che la psicologa coglie emozionalmente (voler sedurre/spaventare con atteggiamenti “devianti”) ma di fronte alla quale sceglie la via della contro-provocazione rassicuratoria, dicendo a G. che anche lei ai tempi dell’adolescenza ha talvolta fumato hashish, con la conseguenza di innescare pensieri paranoici. Ironizza poi con me sul pericolo di “slatentizzare” le psicosi degli psicologi. Ci congediamo con l’ipotesi di non trattare come un dato di fatto questo presunto disturbo dell’identità sessuale (ipotesi poco esplicitata alla collega psicologa), stando piuttosto sul senso simbolico della connessione tra il qui ed ora (la proposta di rapporto di G.) ed il là ed allora (il racconto del problema).
Lavorerò con G. per 8 sedute, per poi concordarne, su richiesta dello stesso G., altre otto.
Non è la scelta dell’identità sessuale il problema del consultante. A G., come lui stesso dirà, piacciono le donne. E’ tuttavia funestato da pensieri ossessivi sull’omosessualità. G. li chiama brutti pensieri, inizialmente non riesce nemmeno a verbalizzarli. Pretende di esserne liberato. Ma questa pretesa passivizzante se stesso (c’è l’attesa medicalizzante di essere curati dal CSM), fa il paio con il contenuto di quelle fantasie ossessive: qualcuno che lo mette nel culo a qualcun altro.
Ma cos’è simbolicamente il “metterlo nel culo”, se non l’azione simmetrica di ingannare/lasciarsi ingannare; vittimizzarsi, essere in balia/violentare sadicamente? Quando recupera la dimensione simbolica, G. riesce ad associare. Sua madre è stata tradita dalla sua migliore amica, perché quest’ultima le ha rubato il marito, mettendosi con il padre di G.
Quando chiedo a G. se abbia mai parlato con i suoi della separazione, dei sui vissuti circa qualcosa che sentiva di aver subìto egli stesso, senza riempirlo di un senso, G. china la testa e piange in silenzio, come se fosse in una posizione masochistica. Quella fantasia disturbante, del resto, ha anche a che vedere con la simbolizzazione sadica del vendicarsi ritorsivamente del padre.

martedì 10 luglio 2012

Musica e poesia

Nel 1994 avevo vent'anni. Ascoltavo rock, come oggi. E talvolta musica cantautorale di livello, purchè spruzzata di wave e velata da tinte fosche.
Era l'alba di un ventennio che al di là di ogni considerazione politica ha avviato, in Italia, un processo di decadenza culturale le cui conseguenze si faranno sentire ancora molto a lungo, negli anni a venire. Sto parlando del berlusconismo, evidentemente.
Curioso che un disco come l'eponimo dei La Crus esca proprio quell'anno zero, forse a rappresentare un ultimo rigurgito di qualità, ricercatezza, intelligenza prima della "memoria del futuro" di una desolazione che avrebbe investito anche molti fenomeni artistici nostrani.

La canzone che vi faccio ascoltare, tra l'altro, sembra l'odierno coro interiore di tante persone, al tempo che viviamo. Un crocevia che interseca aspetti depressivi con una realtà sociale e lavorativa alla deriva.



E dentro le pieghe del mondo c'è un uomo che va
con gli occhi, le gambe e le braccia che trascinano giù
e dietro la curva del cuore sogni tagliati in due
lo sguardo come un lampo che gira e ti chiede perchè

Ma che giorno è?
che rumore fa
un uomo come me?

E dove può andare se il buio lo spacca a metà?
e i nervi scoperti in un grido, no, non rispondono più
e in questo rumore quest'uomo è un soffio che se ne va
è un vento che abita dentro e ti chiede perchè

Ma che giorno è?
che rumore fa
uno come me?

Voglio andare via
via, lontano da qui

lunedì 2 luglio 2012

La donna senz'abito da sposa

Torna da me in consultazione privata, dopo più di un anno di interruzione, una donna di 39 anni che attualmente vive sola. Le modalità di simbolizzare il problema, allora come oggi, sono simili. Alessandra sente di non vivere una relazione d’amore stabile. In ogni rapporto in cui si prova, forse al di là di un ri-conoscimento dell’altro, lei tende invariabilmente a prefigurarsi un esito specifico: il matrimonio.
Proviene da una famiglia del sud Italia immersa in una cultura che fatica a dialogare con alcuni dei cambiamenti del nostro tempo. Tra rabbia ed invidia la nutrita parentela di cui tale famiglia si sente parte, reciproca controlli. In loco o a distanza. I legami di sangue persistono e si rafforzano quasi univocamente per restringere l’orizzonte del visibile sui paragoni: la figlia di tizio si è sposata, caia è sistemata da tempo, sempronia è bella blindata perché guadagna molto ed è prossima a qualche lieto evento definitivo e definitorio di una identità stabile, perenne…mortifera, verrebbe da dire.
In altri termini, per i genitori e la vastitudine moltipicatoria di parenti fantasmatici della mia cliente (cugine, zie, nonne, padri minaccianti e madri luttuose ossessionate dal bianco di un certo abito…), la donna s’ha dda sposà.
In effetti ogni volta che incontra qualcuno, sulla fronte di Alessandra sembra accendersi un’insegna luminosa ad intermittenza: c’è scritto sposami! Non è difficile immaginare che il qualcuno di turno, prima o poi, si defili a gambe levate. Così come viene da pensare che ad Alessandra non freghi nulla di sposarsi sul serio se passa da un uomo all’altro alla stregua di una modella alle prese con i tanti abiti di una sfilata.
La donna, sollecitata spesso a rifletterci, è sospesa tra l’assecondare ed il volgersi reattivamente a tali fantasie, configuranti qualcuno che decide per noi. Comodo, se questo ci esenta dal confrontarci sul senso di una scelta nostra.