martedì 10 luglio 2012

Musica e poesia

Nel 1994 avevo vent'anni. Ascoltavo rock, come oggi. E talvolta musica cantautorale di livello, purchè spruzzata di wave e velata da tinte fosche.
Era l'alba di un ventennio che al di là di ogni considerazione politica ha avviato, in Italia, un processo di decadenza culturale le cui conseguenze si faranno sentire ancora molto a lungo, negli anni a venire. Sto parlando del berlusconismo, evidentemente.
Curioso che un disco come l'eponimo dei La Crus esca proprio quell'anno zero, forse a rappresentare un ultimo rigurgito di qualità, ricercatezza, intelligenza prima della "memoria del futuro" di una desolazione che avrebbe investito anche molti fenomeni artistici nostrani.

La canzone che vi faccio ascoltare, tra l'altro, sembra l'odierno coro interiore di tante persone, al tempo che viviamo. Un crocevia che interseca aspetti depressivi con una realtà sociale e lavorativa alla deriva.



E dentro le pieghe del mondo c'è un uomo che va
con gli occhi, le gambe e le braccia che trascinano giù
e dietro la curva del cuore sogni tagliati in due
lo sguardo come un lampo che gira e ti chiede perchè

Ma che giorno è?
che rumore fa
un uomo come me?

E dove può andare se il buio lo spacca a metà?
e i nervi scoperti in un grido, no, non rispondono più
e in questo rumore quest'uomo è un soffio che se ne va
è un vento che abita dentro e ti chiede perchè

Ma che giorno è?
che rumore fa
uno come me?

Voglio andare via
via, lontano da qui

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