L’aspetto che traspare con più evidenza ne “Gli Anormali” è la critica alla dimensione conformistica del potere. Una questione attuale e cogente: tanto nell'ambito dell'odierno panorama politico e sociale del nostro Paese quanto nei risvolti impliciti delle prassi di chi lavora con la psicologia.
La recensione al volume di Foucault che pubblico qui, prende forma all'interno di un complesso lavoro di esplorazione e messa in discussione dei modelli stereotipali con cui le scienze umane sono solite leggere la realtà. Si tratta di un lavoro coordinato con colleghi psicologi, con l'obiettivo di ripensare anche i propri modelli psicologici, troppo spesso agìti (e non pensati) nella fantasia di non aver mai a che fare con il potere. Potere che, di contro, si insinua nei processi decisionali di cosa sia giusto e sbagliato e che (dis)orienta nel guardare ad alcuni repertori diagnostici mutuati dalla psichiatria. E ciò avviene quando, appunto, gli psicologi si arrogano il diritto di tracciare la linea che divide la normalità dalla anormalità.
Su un piano diverso la lettura di Foucault è interessante perchè il filosofo francese pensa "indiziariamente". Partendo da fonti giuridiche, mediche, storiche, teologiche, costruisce nessi e produce senso laddove sembra non sussistano né gli uni né l’altro.
"Gli anormali" di Foucault nella mentalità degli psicologi
di Fabrizio Casuccio e Onofrio Strignano
Scriviamo con l’idea di coinvolgere i colleghi nella nostra lettura de Gli anormali [1] di Foucault. Il coinvolgimento che vorremmo stimolare riguarda un lavoro su due livelli. Il rapporto tra la ricerca di Foucault e la mentalità degli psicologi si stringe, secondo il nostro approfondimento, su due punti che definiamo insoliti, su due livelli distinti: quale anormalità e quali metodi venivano adottati per trattarla.
Ne Gli anormali Foucault ricolloca la “diversità” che aveva recuperato dalla storia proponendola alla ribalta di un pubblico che aveva cercato di dimenticarne l’esistenza. I mostri umani, gli incorreggibili e gli onanisti (bambini) con Foucault diventano, ad esempio, figure retoriche che si emancipano da una posizione socialmente indesiderabile a una posizione di fenomeno comprensibile socialmente, una questione, quella della diversità, che veniva collocata “nelle” persone e che con Foucault poteva essere ridefinita “tra” le persone. La distanza tra il “giusto” e il “diverso dal giusto” mostrava un conflitto profondo tra i “costumi” di una società borghese e la società stessa. Citiamo Rosmini [2] che discutendo Tesi, antitesi e sintesi di Hegel trattava “l’uomo morale” come frutto dell’incontro tra “l’uomo ideale” e “l’uomo reale”. Ma anche la “morale” non può essere abbandonata dai significati che la incarnano. La moralità che facciamo raccontare a Foucault è il frutto di una mentalità preoccupata da caratteristiche stabili che venivano collocate nell’individuo e riconosciute attraverso il parametro dicotomico del “le possiede” o “non le possiede”. Queste due caratteristiche congiunte e sovrapponibili sono: la pericolosità e la perversione.
Il secondo livello al quale abbiamo alluso si integra all’individuazione della pericolosità e della perversione del comportamento umano occupandosi di come intervenire sul comportamento; mentalità coerente con una ideologia che congiunge la diagnosi al trattamento. Tale livello riguarda il metodo per trattare gli anormali. Qui c’è l’intuizione fondamentale di Foucault, secondo noi. Non si parla di trattamento della anormalità, ma di fallimento del trattamento. Crediamo che Foucault scopra il fallimento del modello medico nel momento nel quale la medicina ricorre al potere giuridico, alla giustizia.