lunedì 26 settembre 2011

"Gli Anormali" di Michel Foucault

L’aspetto che traspare con più evidenza ne “Gli Anormali” è la critica alla dimensione conformistica del potere. Una questione attuale e cogente: tanto nell'ambito dell'odierno panorama politico e sociale del nostro Paese quanto nei risvolti impliciti delle prassi di chi lavora con la psicologia.



La recensione al volume di Foucault che pubblico qui, prende forma all'interno di un complesso lavoro di esplorazione e messa in discussione dei modelli stereotipali con cui le scienze umane sono solite leggere la realtà. Si tratta di un lavoro coordinato con colleghi psicologi, con l'obiettivo di ripensare anche i propri modelli psicologici, troppo spesso agìti (e non pensati) nella fantasia di non aver mai a che fare con il potere. Potere che, di contro, si insinua nei processi decisionali di cosa sia giusto e sbagliato e che (dis)orienta nel guardare ad alcuni repertori diagnostici mutuati dalla psichiatria. E ciò avviene quando, appunto, gli psicologi si arrogano il diritto di tracciare la linea che divide la normalità dalla anormalità.
Su un piano diverso la lettura di Foucault è interessante perchè il filosofo francese pensa "indiziariamente". Partendo da fonti giuridiche, mediche, storiche, teologiche, costruisce nessi e produce senso laddove sembra non sussistano né gli uni né l’altro.



"Gli anormali" di Foucault nella mentalità degli psicologi
di Fabrizio Casuccio e Onofrio Strignano


Scriviamo con l’idea di coinvolgere i colleghi nella nostra lettura de Gli anormali [1] di Foucault. Il coinvolgimento che vorremmo stimolare riguarda un lavoro su due livelli. Il rapporto tra la ricerca di Foucault e la mentalità degli psicologi si stringe, secondo il nostro approfondimento, su due punti che definiamo insoliti, su due livelli distinti: quale anormalità e quali metodi venivano adottati per trattarla.
Ne Gli anormali Foucault ricolloca la “diversità” che aveva recuperato dalla storia proponendola alla ribalta di un pubblico che aveva cercato di dimenticarne l’esistenza. I mostri umani, gli incorreggibili e gli onanisti (bambini) con Foucault diventano, ad esempio, figure retoriche che si emancipano da una posizione socialmente indesiderabile a una posizione di fenomeno comprensibile socialmente, una questione, quella della diversità, che veniva collocata “nelle” persone e che con Foucault poteva essere ridefinita “tra” le persone. La distanza tra il “giusto” e il “diverso dal giusto” mostrava un conflitto profondo tra i “costumi” di una società borghese e la società stessa. Citiamo Rosmini [2] che discutendo Tesi, antitesi e sintesi di Hegel trattava “l’uomo morale” come frutto dell’incontro tra “l’uomo ideale” e “l’uomo reale”. Ma anche la “morale” non può essere abbandonata dai significati che la incarnano. La moralità che facciamo raccontare a Foucault è il frutto di una mentalità preoccupata da caratteristiche stabili che venivano collocate nell’individuo e riconosciute attraverso il parametro dicotomico del “le possiede” o “non le possiede”. Queste due caratteristiche congiunte e sovrapponibili sono: la pericolosità e la perversione.
Il secondo livello al quale abbiamo alluso si integra all’individuazione della pericolosità e della perversione del comportamento umano occupandosi di come intervenire sul comportamento; mentalità coerente con una ideologia che congiunge la diagnosi al trattamento. Tale livello riguarda il metodo per trattare gli anormali. Qui c’è l’intuizione fondamentale di Foucault, secondo noi. Non si parla di trattamento della anormalità, ma di fallimento del trattamento. Crediamo che Foucault scopra il fallimento del modello medico nel momento nel quale la medicina ricorre al potere giuridico, alla giustizia.
Nella prima parte del testo de Gli anormali Foucault tratta delle perizie medico-giuridiche. Racconta con queste perizie come alcuni famosi psichiatri (consulenti tecnici d’ufficio) confondevano la medicina con la giustizia. Questi psichiatri si disimpegnavano dal descrivere l’imputabilità di un individuo, cioè nel discernere se, rispetto ad un reato, intervenire con una pena giudiziaria o con un trattamento psichiatrico, come da norma giuridica vigente. I consulenti si erigevano, invece, a giudici morali, a diagnosti intransigenti, a paladini sociali atti a preservare la società da pericolosità e perversione, due mali incorreggibili.
Il metodo per trattare gli anormali, riassumiamo, era la punizione, anche se medica; ma pur sempre punizione. Il ricorso al sorvegliare e punire è come se fosse l’epitaffio del fallimento della terapia. Potere, giustizia e medicina si mostrano consolidati nei propri limiti quando, semplicemente, accade ciò che non ci si aspetta e quando gli individui continuano a infrangere regole nonostante il proprio discapito.
Gli anormali è un testo di non facile lettura. Deriva dalle trascrizioni del corso che Foucault ha tenuto al Collège de France tra il 1974 e il 1975. Infatti, è un testo organizzato da uno scandire di lezioni.
Il periodo nel quale Foucault scrive riguarda un momento di profonda ridefinizione sociale. Il ’68 francese, i movimenti studenteschi, la libertà sessuale, l’emersione della omosessualità (Foucault era omosessuale) come “cosa possibile” e non come malattia, perversione o pericolosità sociale. Sono gli anni nei quali in Italia tende a concludersi l’annosa questione del trattamento della malattia mentale (definita dal Dlg.180/78). Non sappiamo se Basaglia fosse a conoscenza del lavoro di Foucault; è più probabile il contrario. Per come emerge da alcune interviste riportate su Internet, pare che il francese avesse maggior cognizione di quel che stava cambiando nell’ambito della psichiatria italiana. Il nesso, tuttavia, è su di un livello diverso. Bion [3] soleva dire che la psicoanalisi prima di Freud era “un pensiero senza un pensatore”, ossia un insieme di pensieri “sospesi”, in attesa di pensatori che li pensassero [4]. Le condizioni di contesto, le contingenze storiche tengono insieme Basaglia e Foucault. Eppure è semplicistico adottare una prospettiva sincronico-sequenziale nel ritenere che il pensiero di una sola persona influenzi quello dei contemporanei o di coloro che lo seguono temporalmente. Forse è più corretto asserire che i contributi venuti dopo, in senso cronologico, influenzano l’interpretazione dei precedenti. Esiste la mediazione dei modelli di chi “legge” a ritroso. Noi guardiamo alla storia di allora con occhi diversi. La relativa convergenza di Foucault e Basaglia, quindi, ci sembra più il prodotto di un pensiero “attuale” che contemporaneo ai due uomini.
Tornando al libro in questione, un punto che viene descritto con una certa accuratezza, che ci fa capire l’impeto rivoluzionario di Foucault verso un capovolgimento della mentalità borghese (borghese in senso spregiativo), è la distinzione tra modi diversi di trattare due epidemie: la lebbra e la peste.
La lebbra veniva trattata allontanando i lebbrosi dalle città. La peste si trattava nelle città. Morbi diversi si potrebbe dire. Foucault descrive il trattamento della lebbra come cosa dalla quale difendersi con la distanza. Descrive la peste, invece, come fenomeno che avvicinava le persone. Foucault fa raccontare alla peste il desiderio delle persone di libertinismo. Da questo punto di vista la peste diventò una liberazione dai vincoli del perbenismo, della sessualità castigata: ci si concedeva al desiderio. È la diagnosi di una società che non aspettava altro di recuperare i propri desideri senza soffocarli. La pestilenza è per Foucault la valvola attraverso la quale la morte possibile aveva ridonato la vita ad una società che si stava appassendo irrimediabilmente.
Gli “anormali”, da questo punto di vista, è come se fossero i superstiti di una comunità che seguiva ancora desideri e voglia di vivere. Gli anormali sarebbero i combattenti inconsapevoli di regole del gioco che facevano perdere la diver-sità con tutto il diver-timento.
Riteniamo che il potere della normalizzazione sia un istituto difficile da scardinare. È una domanda sociale pressante, è un mandato che perseguita la mentalità di noi psicologi.
Foucault individua un problema che ci riguarda come psicologi: una classificazione pressante tra i “normali” e “gli altri”, gli anormali. Quanto siamo in grado di cogliere l’esistenza di fenomeni sociali che riguardano il nostro lavoro? Quanti “anormali” incontriamo tutti i giorni?
Il punto che vogliamo mettere in risalto è, però, una questione ancora più spinosa: il metodo, il trattamento.
Quanti psicologi sarebbero in grado di definire il proprio lavoro con termini non riconducibili ad aiutare le persone o i gruppi a diventare/vivere/pensare altro da ciò che ritengono di essere? Forse pochi.
Le domande che poniamo riguardano il senso stesso di ciò che ognuno di noi chiama “il mio lavoro”.
La mentalità degli psicologi si costruisce intorno a problemi e competenze per risolverli. Ma come si risolvono (risolvere come sciogliere) i problemi? Si possono calmare gli ansiosi? Si può distrarre un ossessivo? Come possiamo ravvivare i depressi? Sono tutte domande retoriche che ci aiutano a capire il fallimento di una psicologia che ha un problema nel definire un metodo d’intervento professionale.
Foucault coglie il fallimento della terapia attraverso un sintomo: quando “terapia” diviene sinonimo di “correzione”.
Attraverso il nostro scritto abbiamo tentato di esplorare gli spunti che Foucault ci ha proposto.
Forse ogni volta che incontreremo deGli anormali o ogni volta che ci verrà voglia di dire a qualcuno cosa o come dovrebbe comportarsi ci verranno in mente un paio di dubbi che Foucault ci ha aiutato a sollevare. Incontriamo anormali, ma anormali rispetto a chi o cosa? Ed ogni volta che ci viene voglia di “correggere” qualcosa o qualcuno dovremmo pensare quanto siamo diversi dagli psichiatri di cui parla Foucault. Questi spunti ci aiutano a riconoscere le lenti attraverso le quali, da psicologi, il mondo ci appare come appare.

[1] Foucault, M. (1999). Les anormaux. Cours au collège de France. Seuil/Gallimard. Ed. it. Foucault M. (2009). Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975). Trad. it. a cura di Marchetti V. e Salomoni A.. Feltrinelli, Milano.
[2] Per approfondimenti si consiglia Bergamaschi, C. (1982). L’essere morale nel pensiero filosofico di Antonio Rosmini. Centro Studi Rosminiani, Stresa.

[3] Bion, W. R. (1973). Attenzione e interpretazione. Armando Editore, Roma.
[4] Si vedano anche: Ogden, T. H. (2008). L’arte della psicoanalisi. Sognare sogni non sognati; Grotstein, J. S. (2010). Un raggio di intensa oscurità. L’eredità di Wilfred Bion. Entrambi i volumi sono editi da Raffaello Cortina, Milano.


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