venerdì 9 settembre 2011

Life coaching: il rischio della semplificazione

In Italia attualmente esistono circa 70.000 psicologi iscritti all'Ordine. Rappresentano un terzo di tutti quelli presenti in Europa (210.000).
Non mi soffermerò sulle ragioni storiche e sociali del sovraffollamento nostrano perchè, piuttosto, sono le conseguenze inattese di questo dato numerico a risultare fortemente critiche; ad esempio per coloro i quali pensano di fruire di una consulenza psicologica. Si potrebbe già asserire che con una simile offerta il rischio di incrociare una scarsa competenza sia piuttosto alto. Ma c'è da aggiungere la forte competitività in ambito privato, tra psicologi. Ad un auspicabile continuo processo di formazione (non si dovrebbe mai smettere di imparare), quale modo per emergere e distinguersi, si sostituisce la tendenza ad offrire prestazioni che vanno dalla gratuità alla semplificazione mortificante.
E' in questo senso che leggo con una certa quota di scetticismo lo strano connubio tra la consulenza psicologica ed il cosiddetto Life Coaching. Attenzione: nella maggioranza dei casi non si tratta di approcci integrati, di semplici sfumature linguistiche che si limitino a svelare il solito gusto nel riempirsi la bocca di "americanismi" culturalmente anni ottanta. Non è quindi una questione di etichette, dentro le quali si organizzino coerenti modelli interpretativi della professione. No.
Spesso si tratta di colleghi psicologi che alla "normale" consulenza clinica o psicoterapeutica "aggiungono" la possibilità di provare il Life Coaching. Da una parte la psicoterapia, quindi, perlopiù riservata a coloro i quali risultino "portatori" di una qualche psicopatologia (si tratta di un modo di intendere la psicologia quale scienza atta a "correggere" deficit). Gli sfigati, potremmo dire. Dall'altra il coaching, elitariamente riservato a chi con la testa ancora ci sta.
Ma cos'è il life coaching? Si tratterebbe di una disciplina dello sviluppo personale, atta a facilitare i singoli nel costruirsi il futuro che desiderano, tramite una serie di strumenti.
Storicamente, credo lo si fosse capito, nasce negli Stati Uniti del rampantismo individualista reaganiano, in pieni anni ottanta. Dapprima quale metodo di allenamento sportivo, poi esportato ad altri campi del comportamento umano.
Nulla da eccepire nei riguardi di chi si arrangia a campare. I coach provengono dai più disparati percorsi professionali. Non dubito che questa "cura motivazionale" possa avere dei risvolti interessanti ed una propria efficacia.
Ma che siano degli psicologi ad arrangiarsi a coach (continua a venirmi in mente la pallacanestro...) lo trovo svilente. Psicologi con una formazione anche di matrice psicoanalitica. E' svilente e riduttivo perchè questo significa aderire ad un criterio di sviluppo predefinito, dove alla fine del percorso il risultato atteso è già scritto: "vissero tutti felici e contenti". Siamo sicuri che sia proprio così?
E' svilente, riduttivo e semplificante perchè si suppone, facendo fuori il modo di essere inconscio della mente, che le persone già sappiano con certezza cosa vogliono. Perchè si fa leva su una sorta di miglioramento individuale del tutto a-contestuale. Perchè non si fa nessun uso dell'esplorazione del rapporto tra consultante e consulente, quale criterio metodologico per capirci qualcosa delle emozioni. Mentre le dinamiche transferali, precedentemente messe alla porta, rientrano dalla finestra quando si torna alla psicoterapia.
E' infine seduttivo e predatorio perchè si entra ed esce dalle tecniche con l'esasperazione del possedere quanti più clienti possibile: non importa se infantilizzando (nel coaching si agisce un rapporto di potere asimmetrico ed irreversibile) o promettendo loro la "felicità".
La crisi economica giustifica i mezzi...

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