giovedì 6 settembre 2012

Roberto

Incrocio Roberto più volte nel via vai di un albergo di Marciana Marina, durante le mie vacanze all'isola d'Elba. La facies hippocratica gli conferisce una mimica quasi disfatta nel complesso, eppure nei suoi occhi brilla qualcosa. Si fa notare per le espressioni sopra le righe (bestemmia come un camionista toscano alle prese con una gomma forata...), per le frasi ridondanti, perchè parla due/tre toni sopra mentre chiede continuamente a sua madre: mamma, ma torna??! Torna, mamma?? Oh ma sale??? Ma se poi non torna??? Madon(xx) ca(xx) non scende!!!!
Ha più o meno trent'anni. E' in albergo con gli anziani, pazienti genitori. Presumo sia affetto da un disturbo dello spettro autistico, forse la sindrome di Asperger.
Suscita simpatia in tutti, Roberto, me compreso; ma ancora non ho ben capito chi o cosa debba tornare-scendere-salire. Forse suo padre, penso tra me e me.
Una mattina, durante la colazione all'aperto, molla un peto talmente plateale da sembrare una pernacchia. La voluta inclinazione del busto e la bocca chiusa sconfermano la teoria della burla... Ma quella "sconveniente sottolineatura", provenendo da lui, non può che suscitare ilarità. Per poco non mi strozzo con un cornetto, mentre il nostro continua a mangiare con la nonchalance di un critico gastronomico. Poi si alza di scatto e corre verso l'interno dell'albergo. Poco dopo lo ritrovo davanti al cunicolo trasparente dell'ascensore, mentre con occhi supplicanti guarda su. Prendo tempo e senza fissarlo faccio qualche passo lento, su e giù per l'atrio. Vorrei capirci di più, sono curioso. Non è suo padre che aspetta. E' la cabina dell'ascensore. Qualcuno esce tra la totale indifferenza di Roberto. L'oggetto della sua amorevole attenzione non è il contenuto (umano), bensì il contenitore.
No, non ci entra mai. Si limita a premere il tasto che lo tiene al piano. Quando le porte si richiudono in automatico non sembra angosciato, purchè l'ascensore resti lì. Quando, di contro, sale il giovane si dispera, consolandosi e gioendo solo al momento in cui la cabina "torna da lui".
Ha preteso, per la cena, un tavolo che gli consentisse di controllare con lo sguardo i movimenti dell'adorato "saliscendi".
Ogni volta che lo incontro (ciao Roberto! Bello l'ascensore!! Sì, bello. Ma scende? Sì però torna, non preoccuparti...), di fronte al cunicolo, in spasmodica attesa o in adorazione, non posso non pensare al gioco del rocchetto descritto da Freud. Il padre della psicoanalisi aveva notato come un suo nipotino di 18 mesi si intrattenesse con questo piccolo strumento ludico lanciandolo sotto il letto, facendolo quindi sparire per poi recuperarlo tramite il filo cui era attaccato. Si trattava della messa in atto di una sorta di drammatizzazione, di una coazione a ripetere un'esperienza angosciante di separazione (con la madre, nella fattispecie), "riparata" dal potere magico di far tornare attivamente l'oggetto.
Così associativamente mi viene in mente la "femminilità" simbolica del contenitore, la cabina dell'ascensore quale "parentema" o "erotema", per dirla con Franco Fornari, connotato al femminile. Che Roberto abbia vissuto una separazione dolorosa di recente?
Qualche sera dopo, intrattenendomi con Benedetta, una delle proprietarie dell'albergo, le chiedo se Roberto abbia una sorella...una sorella da cui si sia separato, suo malgrado.
La domanda sembra retorica a Benedetta, nel senso che pensa io sappia. Ti ricordi Fabrizio? La sorella era qui con loro, poi ha litigato con degli amici e se n'è andata in gommone a Piombino.
No, Benedetta, non lo sapevo...

Al di là delle congetture indiziarie e interpretative, colpisce, di questa vicenda, la benevolenza e la capacità di molte persone di entrare in rapporto con Roberto. Saper convivere con la malattia mentale è indice di civiltà. Ci sono culture locali fondate sulla diffidenza, sulla coesione difensiva, sul vivere la diversità quale minaccia. Ce ne sono altre, come in questo piccolo ma splendido paesino dell'Elba, dove l'abitudine a riconoscere l'estraneità quale occasione di arricchimento, genera storie di compassione e comprensione, di adattabilità e apertura all'esperienza.

2 commenti:

  1. Scusa, mi dispiace anche dirlo, ma la tua visione del pensiero autistico è una pura pippa mentale stile Freudiano o giù di li. Guarda che la fortezza vuota è già un pò che stata aperta e stranamente è era piena. Le tue educate considerazioni o congetture possono risultare offensive per un autistico. Sono certo che le tue intenzioni non erano queste e che ad un pubblico normale questo risulterà un bello e folcloristico affresco di una simpatica diversità.
    Michele Scirocco

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  2. Non c'è una visione del pensiero autistico nel mio post, Michele. L'ipotesi diagnostica che faccio, parlando di presunta sindrome di Asperger, non è fondata su nulla, se non su una pura ipotesi speculativa.
    Tra l'altro, come tu stesso sottolinei, non c'era nessun intento ezio-pato-genetico, tantomeno la pretesa di generalizzare cosa significhi "essere autistici". Come se fosse uguale per tutti...tra l'altro (e non è così, evidentemente).
    So bene che esiste una variabilità enorme, da persone estremamente funzionali e particolarmente intelligenti ad altre meno in grado di far fronte a problemi di autonomia e/o integrazione con gli altri.

    Il mio post verte su altro: lato narcisistico di chi scrive, per esempio (c'ho beccato sulla storia della sorella...);

    Metodo indiziario per capirci qualcosa di che succede a qualcuno, non per etichettare quel qualcuno con una diagnosi;

    Scrivere di convivenza con la diversità.

    Saluti.

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