sabato 28 giugno 2014

Dentro la violenza su una donna

G. arriva nel mio Studio preceduta da un ampio, strano sorriso. Si muove velocemente e anche le sue parole corrono via...sino a sfuggire all'orecchio di chi ascolta. Ha 24 anni e lavora in un bar.
Quando le chiedo cosa la porti da me un'ombra pesante cala sul suo volto. Siede di sbieco, un po' come Lilli Gruber ai tempi del Tg1. Pochi secondi dopo i suoi grandi occhi azzurri sono pieni di lacrime. Gira, frase dopo frase, attorno a una questione che mi appare sempre più allarmante.

Ma questi maltrattamenti di cui parla si fermano alle parole o c'è dell'altro?

Le sua resistenza crolla come un fragile muro di carta. La vergogna che prova con i vicini e le persone più care viene meno di fronte all'estraneità che rappresento. Gira il collo mostrandomi i lividi sulla mandibola. E' stato il suo compagno. La cosa va avanti da anni.
C'è una storia familiare su cui poggia l'attuale "coazione a ripetere". Piccoli e grandi traumi in una spirale di incuria, maltrattamenti e violenze domestiche reiterate. Un tempo era il padre di G. a picchiare la moglie, madre di quattro figli di cui G. è la terzogenita. Non avrei mai pensato di finire come mia madre, era l'ultima cosa che avrei voluto...e invece...
E' disturbante vedere quei segni. Segmentano brutalmente la gradevolezza del suo incarnato ma più di tutto deturpano un qualsiasi senso. Quale motivo ha di esistere un rapporto fondato sulla perversione dello stare insieme per amarsi? Provo una rabbia profonda e al contempo una strana rassegnazione, come se le emozioni prevalenti di quei momenti di impotenza e ferocia, tra vittima e carnefice, mi fossero saltate dentro.
Mi guardo bene dall'agirle e le tengo a mente come tracce su cui ricostruire e restituire qualcosa.

C'è un primo dato inquietante nella vicenda tra G. e il suo compagno-persecutore.

Lei si è fatta gradualmente spogliare di qualsiasi aspetto privato. Se ne rende conto G.? Non ha tenuto più nulla per sè, azzerando la differenza tra ciò che è pubblico e ciò che, in alcuni casi, deve rimanere privato. Il suo compagno sa tutto di lei, perché lei in nome della "sincerità" è diventata trasparente, senza pelle, senza confini, senza aver posto un limite tra mondo interno e mondo esterno.

Questa ossessione per la trasparenza è divenuta col tempo una sorta di Panopticon reciproco. E quando la ricerca della verità diventa controllo assoluto il passo successivo è accaparrarsi un potere di vita o di morte nei confronti dell'altro. Pretese di raccontarsi tutto, di sapere tutto, anche del passato e del sesso con altre persone, per riempirsi di emozioni che combinano pericolosamente il dolore (di sapere cose indicibili) con il piacere voyeuristico.
Pur di non perderlo, G. ha perdonato (senza un lavoro di lutto) ogni cosa al suo uomo. Narcisista sino alla patologia, con tratti anti-sociali, questa persona ha continuato a usarla, a mentirle ma anche a nutrirla di cose alle quali G. era avvezza. Come la concezione che gli uomini amano ferendo e svilendo e che forse arriverà una donna che li cambierà fino a redimerli. Quello che sua madre, agli occhi di G., non era stata capace di fare (i suoi genitori si sono separati quando era ancora una bambina).

C'è un secondo dato inquietante nella vicenda tra G. e il suo compagno-persecutore. E' un dato ricavato dalla pazienza di non agire contro-transferalmente, schierandomi dalla parte della mia paziente come un salvatore.

La persona con cui lei continua a stare in rapporto ha un problema molto grave. Lei non può cambiarlo...non si possono cambiare le persone. Possiamo cambiare le relazioni. Ma posto che A. potrebbe forse essere aiutato a valle di una denuncia alle forze dell'ordine, c'è una quota importante di corresponsabilità, tuttavia. Cosa la spinge a restargli accanto?

Non lo so...

Non lo sa o non riesce a dirlo? Sembra incerta, come se non trovasse le parole per dirlo ma ce le avesse nascoste da qualche parte. Provi a pensarci.

...

...

E' che non potrei sopportare di vederlo con un'altra donna. Penso che ne morirei...

Ci sono volute tre sedute per arrivare a questa importante ammissione. G. mi dirà poi che tutto sarebbe più facile se lei potesse innamorarsi per prima di qualcun altro. E' forse nella drammatica necessità di una continuità mortifera del possesso che sarà possibile, nel corso del lavoro, ricavare una discontinuità, un lutto nel ricomporre una solitudine finalmente sicura e non più abbandonica. C'è ancora molto passato nel presente di G. Un passato di bambina il cui padre se ne va da un'altra donna, inseguito rabbiosamente dalla moglie e dai fratelli adolescenti della mia paziente, a sua volta trascinata direttamente sulla scena dello svelamento extra-coniugale.

Forse è inutile sottolineare come ad oggi G. non abbia alcuna intenzione di denunciare il compagno. Credo che spingere in quella direzione, da parte mia, sia comunque inutile e controproducente. Perché, ancora una volta, sarebbe un gesto senza la "capacità negativa" di sostare nell'incertezza di un'elaborazione luttuosa.





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