domenica 27 novembre 2016

Della generosità...

Un'anziana signora, a sua volta residente  nel palazzo dove vivo, mi ferma per le scale. Sa che sono uno psicologo, vorrebbe un incontro per parlarmi di un suo grave problema. Accetto volentieri. Viene e racconta del suo ossessivo accumulare oggetti di ogni sorta, tendenza che dura da molto tempo e che di recente ha assunto proporzioni ingestibili. E' talmente incapace di separarsi da ciò che possiede al punto di non avere più spazio nemmeno per ricevere una visita. I figli, adulti, vivono altrove con le rispettive famiglie. Ma non possono andare a trovarla senza inciampare in qualcosa, muovendosi a stento tra le infinite cianfrusaglie, le buste, gli scatoloni.

Tralascio gli sviluppi della vicenda da questo punto di vista; tuttavia è interessante notare il nesso tra questa difficoltà a separarsi da ciò che si ha, cristallizzando lo scorrere del tempo, feticizzando la propria storia per tenere a bada l'angoscia della perdita, attraverso una ritenzione compulsiva, e la generosità della quale la signora continua a fregiarsi con orgoglio.
Mi dice, in relazione al proprio altruismo, che da molti anni ha adottato a distanza un bambino peruviano. Oggi quel bimbo è un ragazzo di circa 19 anni. Avevamo dei progetti per lui (lei e gli operatori dell'associazione religiosa che lo ospitano sin da piccolo), mi spiega. Andava bene a scuola e con le suore dell'istituto, finite le superiori, stavamo pensando di iscriverlo all'università. Poi che succede? Che sto ragazzo non ne vuole sapere!! Capisce, dottò? Questo vuole fare il meccanico. Ma come il meccanico??!! Co' tutti i soldi che gli ho mandato...Allora lo sa che ho fatto? Ho smesso di mandargli i soldi. E' stata una delusione.

E' chiaro qual è l'aspetto drammatico della "generosità"? In questo caso risulta addirittura paradigmatico. Tale altruismo, auto-attribuitosi dalla signora, è in realtà una cruenta modalità di far fuori il desiderio dell'altro. So io qual è il tuo bene! Non vorrai mica azzardarti a costruire una tua identità, a fondare un tuo progetto di vita!

Ho preso spunto dalla narrazione dell'episodio (anche triste, direi) non per condannare la mia vecchia vicina di casa; piuttosto per svelare rapidamente l'evidenza bi-fronte dell'altra faccia della generosità. Quella che smuove interi gruppi sociali, organizzazioni e singoli individui in nome del bene. Quel bene precostituito a modello ideale cui conformare la plasmabilità di chi spesso è debole e senza il potere di convenire su ciò che vuole. Vengono alla mente i bambini e i malati di mente senza domanda nei riguardi di trattamenti e diagnosi oggi alla moda; basti pensare a quanto di recente siano aumentate le segnalazioni, nella scuola, dei cosiddetti DSA (disturbi specifici dell'apprendimento: dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia, dis...chi più ne ha più ne metta...). Attorno all'esasperazione diagnostica si muovono reti di professionisti che si inviano, tra infiniti rimbalzi, ragazzini delle cui difficoltà "nel luogo" della relazione con i contesti (scuola e famiglia, per esempio) nessuno si cura. Ridotti a individui da raddrizzare, questi sfortunati bambini finiscono nelle mani di persone che sotto il vessillo della prodigalità nascondono ben altri interessi economici.
Stesso discorso per le derive da "dispensazione farmacologica" di certa psichiatria...alla faccia di chi ha fatto della fenomenologia psichiatrica un complesso modello di ricerca e di valorizzazione della dignità e della soggettività umana.

Per incidens, tornando alla signora di cui sopra: conserva con cura le lettere che il ragazzino le scriveva (non è difficile immaginare che lo facesse forzatamente, obbligato da un adulto). Eppure dal fornire un sostegno a ciò che il giovane realmente voleva, la donna è riuscita a separarsi. Definitivamente.
Curioso infine rilevare come l'etimo di generosità coincida con quello di genere, generare, genitore. Qualcuno diceva che per quanto un figlio sia partorito, generato endogamicamente, per ri-conoscerlo davvero egli vada comunque adottato. Ad-optare, desiderare, scegliere. E desiderare e scegliere non riguarda solo noi e la nostra spinta al possesso. Concerne, necessariamente, l'alterità. O meglio: la domanda dell'altro.

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