Il Governo italiano, dopo una politica di progressivo restringimento, ha deciso di interrompere la quasi totalità delle attività produttive. Forse sarebbe stato più logico fermare tutto dall'inizio, per poi tornare gradualmente ad aperture mirate e strategiche. D'altro canto misurarsi con una situazione del genere è quantomeno complesso. Non vogliamo polemizzare.
Come ognuno di voi, stiamo facendo i conti con le misure dettate da una
contingenza che non è esagerato definire devastante. Giorni di ansia, paura, di schizofreniche oscillazioni tra l'ottimismo e la depressione. Sì, esiste anche tra gli psicologi. Momenti che invitano a mollare, a posticipare progetti che finiscono nel calderone del "quando tutto
ripartirà”. Come genitori pensiamo a nostra figlia e al bimbo in arrivo,
alla necessità di riorganizzazione familiare, alla fatica di
ristabilire un ritmo e una cornice in una quotidianità che sembra
sfumare, tra le pieghe del nervosismo e dei conflitti che ne scaturiscono. Ma pensiamo anche al lavoro portato
avanti con i pazienti, provando rabbia, tristezza, frustrazione nel vederlo interrotto
bruscamente.
Serve una scossa, un confronto, una spinta a volgere lo sguardo su quel che si può fare in tal senso. Ci vogliamo occupare del tempo, per non cedere all'idea che il futuro
è domani, quando ogni cosa ricomincerà ad andare da sé. Non vogliamo lasciare il passo al vissuto mortifero che cancella la possibilità di incidere sulla vita.
E' successo qualcosa stamattina, una di quelle piccole cose che se "viste" possono aiutare a cambiare prospettiva. E' sbocciato un tulipano rosa in balcone, piantato mesi fa da nostra figlia Anna.
Lo abbiamo preso come un segno; la vita ha una sua forza, riesce a imporsi di proseguire là dove noi sentiamo il principio di un abbandono. E spiazza, perturba e disconferma il vuoto verso cui, a volte, vorremmo perderci. Lo stesso che avvertiamo quando il tempo si allunga come un'ombra su giornate che ci sembra persino inutile contare. Ma il tempo non può coincidere col vuoto, perché è proprio la vita a riempirlo, al di là di noi. Possiamo restare a guardare inermi. Oppure lasciarci coinvolgere. Ri-dargli valore.
Ci siamo chiesti allora qual
è il contributo che possiamo dare in un momento in
cui le sensazioni di morte e di perdita rischiano di prevalere sul tornare a essere nel flusso vitale. E di fare qualcosa, nonostante tutto. Non è mai vero che "tutto è nulla", mai.
Tanti i dubbi e le incertezze ma su una cosa
non c'è stato tentennamento: il desiderio di restare in rapporto con
l'altro, o meglio di riscoprirlo.
Qui nasce la proposta, faticosa e allo stesso tempo intrigante, di riorganizzare il nostro lavoro usando gli strumenti tecnologici a disposizione.
Gran parte di ciò che facciamo come professionisti ha a che fare con la psicoterapia. Al momento non possiamo incontrare persone dal vivo. E' un problema comune. C'è un solo modo. Utilizzare le chiamate video.
Perché una video-seduta?
Perché è l'unico strumento attuale che consente di preservare la
percezione di una vicinanza che passa dai sensi. E' vero, non ci si
può più stringere la mano, recarsi presso lo Studio, pianificare lo
spostamento e il ritorno. Lo spazio diventa più mentale che fisico.
Ma tolto questo restano le parole, gli sguardi, le emozioni che si
dipingono sul viso. Resta il calore di rivedere qualcuno con cui si
sta lavorando proficuamente, entro una dimensione di reciproco e
profondo affetto. In tal senso vengono alla mente i nonni che si
attrezzano per stare al passo con le tecnologie, pur di “incontrare”
i nipoti; oppure gli amici che vivono lontani e che in questi giorni
difficili stanno sviluppando la consuetudine del video-chiamarsi.
Non è un automatismo, probabilmente per nessuno di noi. Almeno
fino ad ora. Ma l'alternativa è l'isolamento progressivo, mentre
tutto quello che abbiamo costruito rischia di essere disinvestito,
fino ad esaurirsi. Potremmo trovarci, una volta finito questo triste periodo,
a dover ricominciare da capo, con una fatica soverchiante. La proposta è, di contro, considerare il futuro a
partire da ora. Non domani, dopodomani o nel cerchio rosso di un
ipotetico calendario privato o governativo. Come se dovessimo
rassegnarci a un "letargo" fatto di veglie angosciose e sonni di
oblìo; di negazioni, resistenze e semplicistici “andrà tutto bene”. Non andrà bene se ci immergiamo in attese impotenti. Stiamo cercando di assumerci la responsabilità di dire: dipende anche da noi. Soprattutto da noi
riorganizzare il presente per configurare un futuro che risponda al
nostro impegno.
Chiara Panattoni e Fabrizio Casuccio
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